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rovine Ghassanidi a Rasafa (Sergiopolis) attuale Siria

Sta diventando davvero noioso dover continuamente a ribadire l’ovvio, purtroppo continuiamo a leggere interventi su blog ed articoli che tendenziosamente o apertamente contestano i diritti della Casa Reale di Ghassan. Per questo è nostro dovere aggiungere e chiarire quanto più possibile a difesa di questi diritti.

A causa della massiccia caduta delle monarchie nei secoli XIX e XX, lo studio del diritto dinastico e nobiliare è notevolmente decaduto diventando oggi un argomento molto raro tra gli studiosi. Questo fatto ha dato vita a diversi miti e idee sbagliate sull’argomento anche tra persone ragionevolmente istruite.

A causa del dominio coloniale europeo nel mondo fino al secolo scorso e l’attuale esistenza di diverse monarchie attive nella regione, così come diverse famiglie reali non regnanti estremamente attive socialmente e persino politicamente, si è creata la falsa idea che tutti i i titoli reali e nobili nel mondo e la loro successione dovrebbero seguire il modello europeo, indipendentemente da qualsiasi tradizione locale – e talvolta millenaria – che quella particolare famiglia possa avere.

A dire il vero, molte casate reali decisero di “europeizzare” i propri usi e costumi, soprattutto durante i secoli XVIII e XIX. Tuttavia, quegli “adattamenti” al modello europeo erano documentati in modo molto preciso, senza lasciare spazio a congetture.

Inoltre, c’è un enorme malinteso riguardo alla legittimità dei titoli rispetto alla notorietà e al prestigio. Ci sono migliaia di famiglie ex regnanti e nobili nel mondo. Alcuni più conosciuti e prestigiosi e altri meno. Non tutti hanno una pletora di informazioni disponibili in lingue diverse da quelle native. È umanamente impossibile, anche per uno studioso, conoscere le peculiarità e le regole di ognuna di esse. Quindi, non perché “mai si è mai sentito parlare” di molte persone di questa o quella famiglia ciò significhi che la famiglia è legittimata a portare i suoi titoli o meno.

Attraverso questo blog e molti altri documenti e articoli contenenti diversi riferimenti accademici provenienti da organizzazioni accademiche in buona fede di tutto il mondo, abbiamo dimostrato di possedere legittimamente i diritti legali ed i titoli reali della famiglia El Chemor/Gharios secondo l’usanza mediorientale e il diritto internazionale.

Prima di procedere, vorremmo suggerire alcune letture complementari (in inglese) per comprendere appieno questo articolo:

· La famiglia El Chemor/Gharios di fronte al diritto internazionale

· Le leggi mediorientali sulla successione

· Primogenitura nella successione reale araba

· Le leggi di successione dei Ghassanidi

· Comprensione dell’albero genealogico dei Ghassanidi reali

· The Sheikhs El Chemor: uno studio legale sui titoli

Attualmente, ci sono oggi due diverse scuole di pensiero sui diritti delle famiglie regnanti che vengono espropriate dei loro troni.

Una difende i diritti sovrani “de jure” (di diritto) come perpetui e legati alla persona del sovrano spodestato e dei suoi eredi – osservate le rispettive leggi di successione – indipendentemente dal tempo trascorso, dal controllo territoriale e politico e indifferentemente al fatto che quel sovrano o i suoi eredi esercitino o meno le loro prerogative dinastiche in esilio come ad esempio, usando pubblicamente i loro titoli, l’araldica, ecc. o anche manifestando qualsiasi tipo di protesta diplomatica.

Tali diritti restano intatti nonostante che, a causa del diritto interno nel paese in cui il sovrano è stato spodestato e la monarchia cancellata, l’uso pubblico dei titoli sia vietato in tali paesi (ad esempio l’Austria e il Brasile, o anche l’Italia, dove dopo la caduta dei regimi monarchici, le rispettive costituzioni vietano espressamente qualsiasi menzione di qualsiasi titolo). Inoltre, qualsiasi cosiddetta “protesta diplomatica” rappresenterebbe un immenso rischio per la vita degli ex monarchi e delle loro famiglie in regimi assoluti e/o teocratici come alcuni regimi islamici del passato e del presente.

Molti giuristi europei e anche recenti decisioni giudiziarie difendono la suddetta posizione.

Il giurista olandese Hugo Grotius, uno dei padri del diritto internazionale, ha scritto:

“. . . Affinché il silenzio possa stabilire la presunzione di abbandono della proprietà, sono necessarie due condizioni, che il silenzio sia quello di chi agisce con cognizione e di sua spontanea volontà. Infatti l’omissione di chi non sa è priva di effetti giuridici”. (Sul diritto di guerra e di pace, libro I, capitolo IV, numero 5)

In altre parole:

 “La presunzione di negligenza non può giustamente esistere, laddove l’originario proprietario, per ignoranza dei suoi diritti, o per inganno, o timore personale, sia stato impedito di rivendicare ciò che gli spetta. Se non sapesse di avere un diritto, non si potrebbe supporre che lo rinunci. E se la paura o la frode avessero indotto la sua negligenza, la sua mente non avrebbe potuto acconsentire volontariamente”. (John Penford Thomas, Trattato di giurisprudenza universale, capitolo II, n. 13, 1829, pag. 34)

Grozio ha anche scritto:

“I contratti o le promesse ottenuti con frode, violenza o timore indebito danno diritto alla parte lesa al pieno risarcimento.” www.constitution.org/gro/djbp_217.htm

Un altro capostipite del diritto internazionale, il giurista svizzero Emmer de Vattel nel trattato “Il diritto delle Nazioni al CAP. XI. Di usucazione e prescrizione tra le nazioni” scrive:

§ 144. Ricorrente adducendo ragioni per il suo silenzio.

Nei casi di prescrizione ordinaria, la stessa argomentazione non può essere adottata contro colui che adduca giuste ragioni del suo silenzio, quali, l’impossibilità di parlare, o un fondato timore, ecc., perché [in tal caso] non c’è più posto per la presunzione di abbandono volontario del suo diritto. Non è colpa sua se le persone si sono ritenute autorizzate a presumerlo; né deve soffrire in conseguenza di ciò. Non può quindi essere privato della libertà di provare chiaramente la sua legittima “proprietà”. Questo metodo di difesa in ordine alla prescrizione è stato spesso impiegato da principi il cui formidabile potere aveva a lungo silenziato le deboli vittime della loro usurpazione. http://www.constitution.org/vattel/vattel_02.htm

Secondo Salvioli (Storia del diritto italiano, Utet, 1930, p.272) la sovranità come elemento del potere statale scaturisce dalla lotta dei re contro i grandi feudatari e deve il suo carattere di necessità alla conseguente concentrazione dei poteri dello stato nelle mani del monarca.

“Nato di origine feudale, questo potere continuò a portare l’impronta della proprietà personale del Principe, da cui deriva la sua trasmissibilità per diritto ereditario IN PERPETUITÀ”.

Con questa dottrina il principe conserva logicamente sempre la sua sovranità (suprema potestas, donde supremitas, sovranità) anche quando non regna più.

L’arcivescovo Hyginus E. Cardinale nel suo libro ha dichiarato:

“Un Sovrano in esilio e il suo legittimo successore e Capofamiglia continuano a godere dello ius collationis [il diritto di conferire e godere di onorificenze] e quindi possono conferire [tali] onori in piena legittimità. … Nessuna autorità [qualunque autorità sia] può privarli del diritto di conferire onorificenze, poiché questa prerogativa appartiene loro come lecita proprietà personale iure sanguinis [per diritto di sangue], e sia il suo possesso che il suo esercizio sono inviolabili”. (Orders of Knighthood Awards and the Holy See – A Historical, Juridical and Practice Compendium, Van Duren Publishers, Gerrands Cross, 1983, p. 119)”

La seguente conclusione riflette la conoscenza della sovranità perpetua.

La giurisprudenza italiana riconobbe ufficialmente che:

“Tra questi diritti [di una ex casa regnante ereditata dai successori c’è] la facoltà di nobilitare, concedere e confermare stemmi, conferire titoli tratti da luoghi sui quali i loro antenati avevano esercitato i loro poteri sovrani, e anche il diritto di fondare, ristabilire, riformare ed esercitare il Gran Magistrato degli Ordini Cavallereschi conferito dalla loro famiglia, che può essere tramandato di padre in figlio come insopprimibile diritto di primogenitura”. (Tribunale Riunito di Bari, La Repubblica Italiana, Sig. Dott. Giovanni de Gioca, 13 marzo 1952)

Una sentenza analoga del Tribunale della Repubblica Italiana (Vico Del Gargano, Repubblica Italiana sentenza n. 217/1949) avvalora quanto sopra:

“(…) è IRRILEVANTE se quella famiglia Imperiale non regna più DA SECOLI, perché la deposizione non lede le prerogative sovrane anche se il sovrano rinuncia, spontaneamente, al trono. In sostanza, in questo caso, il Sovrano non cessa di essere Re, anche vivendo in esilio o A VITA PRIVATA (SENZA RICHIEDERE LA SUA SOVRANITÀ), perché le sue prerogative sono, di per sé, per nascita e NON POSSONO ESTINGUERSI, ma rimangono e possono essere trasmesse nel tempo, di generazione in generazione”.

Dal Professor Doctor W. Baroni Santos, Doctor D’Etat in Nobility Law presso l’Università di Reims in Francia, nel suo libro “Treaty of Heraldry / Nobility Law Vol. I, Libro II, capitolo I “Giurisprudenza della Nobiltà” pag. 197:

“Un “Capo di nome e d’armi”, essendo per iuris sanguinis (legge di sangue) “erede legittimo” di un trono decaduto, purché non abbia formalizzato un atto volontario di dimissioni e acquiescenza [formalizzato , non assunto o presunto] al nuovo assetto politico dello Stato, secondo la classica espressione “subito la debellatio”, conserva in tutta la sua pienezza le prerogative sovrane di Fons Honorum (Fonte degli Onori) e di Jus Majestatis (diritto di dignità reale). È, a fortiori, la fonte della nobiltà e dell’onore, e può, senza restrizioni, creare nobili e cavalieri.

Secondo l’ex presidente della Corte di Cassazione, il professor dottor Renato de Francesco nel 1959:

“… È semplicemente ridicola, dal punto di vista giuridico, la distinzione che si intende fare delle Dinastie che hanno regnato fino a poco tempo fa da quelle che hanno governato in un lontano passato. Non si capisce come si possano gettare alle ortiche numerose pagine di storia, solo per dare lustro a questa o quella famiglia, che, aiutata dalla fortuna, sia riuscita a rimanere sul trono, dopo l’anno 1815. Se regnò, anche in tempi molto remoti, merita il trattamento storico e giuridico come Dinastia e tutti i suoi effetti”.

Ecco un estratto dal libro “Ordini Cavallereschi e titoli nobiliari in Italia”, Basilio Petrucci, pag.87:

“Così l’ex Re Umberto II di Savoia, una volta subita la debellatio, conserva la prerogativa regia nel concedere titoli onorifici di nobiltà e cavalleria, insieme ad altri sovrani degli ex stati italiani ed esteri…”

Ecco un altro estratto dal libro “Studies on Nobility Law” (Estudos sobre Direito Nobiliário), Dr. Mario Silvestre de Meroe, pag. 63:

“Ci sono crisi politiche di fronte alle quali lo stesso monarca ha accettato volontariamente – a volte anche voluto – quella rottura istituzionale, concordando espressamente con il nuovo ordine delle cose. In tali casi, E SOLO QUELLI, perde i diritti dinastici, conservando solo le qualità principesche ereditate e trasmesse ai discendenti, senza però gli attributi di “pretendente”.

Scrive il professor Emilio Furno, eminente giurista e studioso italiano, già avvocato presso la Suprema Corte d’Appello, in “La legittimità degli ordinamenti non nazionali”, Rivista Penale, n. 1, gennaio 1961, pp. 46-70:

“Non sono poche le sentenze, civili e penali, alcune anche recentissime, tutte tendenti di norma all’accoglimento di principi tradizionali ri-enunciati da poco tempo. La questione è quella della nobiltà innata – “Jure Sanguinis” (diritto di sangue) – che esamina le prerogative note come “Jus Majestatis” e “Jus Honorum” e che sostiene che il titolare di tali prerogative è un soggetto di diritto internazionale con tutte le logiche conseguenze di quella situazione. Vale a dire, un sovrano deposto può legittimamente conferire i titoli nobiliari, con o senza predicato, e gli onori che appartengono al suo patrimonio araldico in quanto capo della sua dinastia. Le qualità che rendono un Sovrano deposto un soggetto di diritto internazionale sono innegabili e costituiscono di fatto un diritto personale assoluto di cui il soggetto non può mai spogliarsi e che non necessita di ratifica o riconoscimento da parte di alcuna altra autorità. Un Sovrano regnante o un Capo di Stato può utilizzare il termine “riconoscimento” per dimostrare l’esistenza di tale diritto, ma il termine sarebbe una mera dichiarazione e non un atto costitutivo. (Furno, op. cit.).

“Un esempio notevole di questo principio è quello della Repubblica Popolare Cinese, che per lungo tempo non è stata riconosciuta e quindi non ammessa alle Nazioni Unite, ma che ha continuato comunque ad esercitare le sue funzioni di Stato sovrano sia attraverso i suoi organi interni che esterni .” (Furno, op. cit.).

L’eminente autore conclude:

“In sintesi, quindi, la magistratura italiana, nelle cause sottoposte alla sua giurisdizione, ha confermato le prerogative “jure sanguinis” di un sovrano detronizzato senza mai viziarne gli effetti, per cui ha di conseguenza esplicitamente riconosciuto il diritto di conferire titoli di nobiltà e altre onorificenze relative al suo patrimonio araldico dinastico.” (Furno, op.cit.).

In base a quanto sopra, la Famiglia El Chemor/Gharios mantiene pienamente i titoli Ghassanidi reali soddisfacendo i criteri legali poiché è stata dimostrata la loro discendenza dall’ultimo Re Ghassanide in linea maschile in perfetta conformità con le rispettive leggi arabe di successione.

La seconda scuola di pensiero, invece, difende la posizione per cui l’erede reale conserva i propri diritti sovrani solo e soltanto se usa pubblicamente i propri titoli e/o fa proteste diplomatiche.

Uno dei grandi difensori di questa teoria è il dottor Stephen Kerr y Baca, ex professore di diritto internazionale pubblico e diritti umani presso la Scuola di diritto di Antiochia e consulente legale della famiglia degli Asburgo. Nel suo libro “The Entitlement to Rule: Legal, Non-Territorial Sovereignty in International Law” (Heritage International University, 2015 – ISBN: 978-0-692-02896-4) esplora tutte le sfumature giuridiche dei diritti delle famiglie detronizzate e formula come l’uso pubblico dei titoli, che secondo lui consiste in una forma di protesta diplomatica, impedirebbe l’irreparabile decadenza dei diritti sovrani.

Nel suo libro l’autore si sofferma sulla regalità di Giuseppe e di Gesù di Nazareth. Lasciando per un attimo da parte l’aspetto religioso e la divinità di Cristo, è noto e la storia dimostra che i titoli della casa di David erano usati dalla Casata, senza che nessuno avesse mai contestato questo diritto o esso fosse stato scartato, trascurato o abbandonato. Dal 970 a.C. alla venuta di Cristo nell’1 d.C., la linea davidica era decaduta e non governava né regnava in Terra Santa.

Questa perdita del regno fu profetizzata o predetta dal profeta Isaia, che si lamentò per i peccati di Israele e ne spiegò il risultato: “Poiché i figli d’Israele rimarranno molti giorni [migliaia di anni] senza un re e senza un principe, e senza sacrificio. . . ”, ecc. Tuttavia, la casa di David ha seguito ciò che perpetua o mantiene vivo il diritto non territoriale secondo la legge naturale. Gesù era nel senso più pieno e perfetto un discendente di Davide, non solo per diritto nella linea reale dei re attraverso Giuseppe, ma anche di fatto per diretta discendenza personale attraverso sua madre.

L’angelo annunciò a sua madre, Maria che: “il Signore Iddio gli darà il trono di Davide suo padre: ed egli regnerà sulla casa di Giacobbe per sempre; e del suo regno non ci sarà fine”. (Luca 1: 32-33)

Gesù il Cristo apparteneva al lignaggio dell’antica linea regale di Davide ed era il legittimo erede della famiglia. Tuttavia, i titoli di rango sovrano, sempre secondo questa seconda scuola di pensiero, dovevano essere costantemente utilizzati per mantenere legalmente una pretesa di regalità sovrana da parte di una casa deposta, requisito che era stato pienamente soddisfatto dalla linea regnante dei discendenti di Davide. Gesù di Nazaret fu chiamato “il figlio di Davide” diciassette volte nel racconto del Nuovo Testamento. “Figlio di Davide” era il titolo che, nella tradizione ebraica, si riferiva all’erede al trono.

Questo titolo è simile al titolo francese di “delfino”, che era il titolo dell’erede al trono in Francia. Il titolo “figlio di Davide” era de jure del legittimo capo della casa reale di Davide. Con l’aggiunta di “il” al titolo, rendendolo “il figlio di Davide”, era il titolo di Gesù il Cristo. Significava che era il re effettivo, legale e legittimo di tutto Israele. Ed è, infatti, anche per questo che, oltre che per la Sua predicazione, faceva tanta paura al potere. Per questo Erode compie la strage degli innocenti, egli sapeva che la nascita di quel bambino, con la profezia dei Magi, metteva in grandissimo rischio il suo trono.

Il dottor James E. Talmage ha scritto che “Se Giuda fosse stata una nazione libera e indipendente, governata dal suo legittimo sovrano, Giuseppe il carpentiere sarebbe stato il suo re incoronato; e il suo legittimo successore al trono sarebbe stato Gesù di Nazaret, il re dei Giudei”.

Canon Girdlestone aggiunge: “Se la corona di Davide fosse stata assegnata al suo successore ai tempi di Erode, sarebbe stata posta sul capo di Giuseppe. E chi sarebbe stato il successore legale di Giuseppe? Gesù di nazareth.”

www.the-entitlement-to-rule.com/id38.htm

Riassumendo, il dottor Kerr y Baca sostiene che l’uso del titolo “Ben David” o “figlio di David” era sufficiente per rappresentare legalmente l’uso dei titoli e delle pretese reali davidiche, costituendo quindi una protesta diplomatica necessaria per preservare intatta la pretesa sovrana per migliaia di anni secondo il diritto internazionale.

Ribadiamo che l’esempio citato serve solo a dare conto della posizione di una scuola di pensiero per quanto riguarda l’aspetto della legittimità dinastica nell’uso dei titoli e del mantenimento della Fons Honorum.

La famiglia El Chemor/Gharios ha fatto esattamente la stessa cosa. Gli sceicchi El Chemor salirono al potere nel 1211 d.C. a Koura (l’odierno Libano) perché discendenti diretti dei re Ghassanidi. Erano conosciuti come “i discendenti del re Chemor Jablah”, l’ultimo re di Ghassan. Questa è l’origine del cognome “Chemor” poiché dopo la deposizione dell’ultimo re ghassanide nel 636 d.C. i suoi discendenti reali erano conosciuti come “Bani Chemor” e i cittadini ghassanidi come “Bani Ghassan”.

Secondo il dottor Kerr y Baca, questo da solo sarebbe sufficiente per mantenere legalmente viva la pretesa sovrana. Tuttavia, la famiglia El Chemor ha continuato ad usare il titolo reale di “Sheikh” fino ai giorni nostri. Questo titolo è stato riconosciuto dall’impero ottomano fino alla sua fine nel 1924 e anche dalla repubblica libanese sin dal suo inizio e fino ad oggi essendo stampato su carte d’identità, patenti di guida e passaporti. Pertanto, non c’è mai stato un momento nella storia dalla perdita del regno di Ghassan nel 636 d.C. fino ai giorni nostri in cui i discendenti dell’ultimo re non usassero i loro titoli e/o cognomi in pubblico.

Come si vede, dunque, a qualunque scuola di pensiero si voglia far riferimento, i titoli reali della famiglia sono incontestabili e con essi la Fons Honorum che ne deriva per il Capo d’Onore e d’Armi della Casata secondo le leggi dinastiche di successione della stessa.

(IMPORTANTE: c’è una differenza tra lo sceicco reale e quello nobile in Libano, si prega di consultare questo articolo per una migliore comprensione)

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